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Ecuba la Bellezza della Tragedia

Meravigliosa la visione e l’ascolto di “Ecuba” del genio Manfroce. Cast di estrema qualità : Lidia Fridman, Roberta Mantegna, Norman Reinhardt, Mert Süngü , hanno interpretato perfettamente la tragedia con la regia sapiente di Pier Luigi Pizzi. Grande direzione di Sesto Quatrini

Pino De Stasio by Pino De Stasio
15 Settembre 2019
in Teatro
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Ecuba la Bellezza della Tragedia
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Finalmente non è stato vano il tempo atteso nel vedere e ascoltare “Ecuba”(1812) di Nicola Antonio Manfroce, su RAI5.

Questa tragedia, (l’attuale revisione si risolve tutta in un atto,  giusta scelta del regista e direttore), ti immerge in quei luoghi oscuri, a tratti di complesse psicologie dei personaggi, che compiono ogni sforzo interpretativo per farsi comprendere dall’altro, senza mai trovare una ragione che impedisca il drammatico finale.

Uccidere per vendicare, a scapito di pace e amore, tutto il sangue deve essere versato, la Madre Ecuba vuole questo.

Manfroce è genio innato, calabrese di nascita si forma a Napoli e si vede ( e si sente ) che studia moltissimo, soprattutto Gluck e Spontini, ma senza mai dimenticare la grande scuola napoletana.

L’alternarsi delle forme dei recitativi e degli ariosi (Gluck) e lo spessore drammatico dei passi musicali sinfonici e corali (Spontini) si intervallano in duetti e arie che anticipano in modo straordinario il successivo Rossini, già all’opera in quegli anni e Bellini che sentiremo diversi anni dopo.

Il famoso crescendo rossiniano è qui intriso in alcuni passi della tragedia e l’agogica della dialettica ritmica di interi brani musicali e cantati, ci conferma quanto Manfroce stia anche accorto a non scontentare il pubblico del Real Teatro di San Carlo, sempre attento alla tradizione ma anche ai nuovi compositori che a decine si alternavano nel teatro più famoso d’Europa.

Oltre a Rossini c’è tanto Jommelli dell’Armida abbandonata e il Mozart più schiettamente italiano.

Difficile classificare lo stile di quest’ Opera di ricerca assoluta. Vietato inquadrarla in una sola “posizione” storica.

Il Festival di Valle D’Itria ha colpito nel segno, riesumando dall’oblio profondo un’ Opera di grandissimo valore musicale.

Ho letto che alcuni critici hanno trattato questo vero e proprio capolavoro, con sufficienza e a tratti relegando  Manfroce  tra i compositori minori di quell’epoca. Felice di constatare il contrario!

Grandiosa, nella cruda essenza di uno stile misurato al millimetro, la regia le scene e i costumi del Maestro Pier Luigi Pizzi, che muove le masse e i “corpi” in un’alternarsi di geometrie neoclassiche, pregne di tragedia e persa umanità, così come la direzione di Sesto Quatrini  che ci ha donato due ore di pathos incredibile riuscendo a comporre la difficilissima partitura in un “tappeto sonoro” sempre in crescendo, esaltando le voci (senza mai stressarle) e imponendo all’orchestra colori e accenti da  maturo direttore da carriera internazionale.

Le voci sono state tutte meravigliose, una goduria ascoltarle : L’Ecuba di Lidia Fridman ha scolpito magistralmente (offrendo anche la nobiltà di gesti sempre misurati) la tragedia di una madre e l’imposta “ragion di stato”, voce scura di raro colore contraltile che trasaliva agevolmente nelle impervie note acute con una naturalezza impressionante ( ricordo la scena finale “Eccomi solo al mondo“) una rivelazione, oltre che una certezza come affermata cantante.

La Polissena di Roberta Mantegna ci mostra la calda brillantezza  di un morbido timbro vocale. Si sente quanto Belcanto ci sia  dentro le sue corde e quanta tecnica nel reggere il difficilissimo duetto con Norman Reinhardt. La Mantegna è sicuramente tra le voci più preziose e preparate  che abbiamo oggi sulla scena non solo italiana.

Tra le sorprese della serata c’è il  Priamo Mert Süngü, voce estesissima con bellissima esecuzione delle agilità, forse un rinato Andrea Nozzari ruolo scritto appunto da Manfroce per il famosissimo tenore, ci ha colpito molto l’esecuzione dell’aria “Di questo cor la speme“, difficilissima per gli improvvisi sbalzi di ottave e  le “colorature” cantate con impressionante facilità.

Non ultimo per bravura e bellissima presenza fisica l’Achille di  Norman Reinhardt, perfetto nel ruolo più da tenore drammatico, anche se non di meno per  l’impegno e le difficoltà nei diversi rapporti “dialogici” con gli altri personaggi della tragedia, la sua è stata una vera e propria prestazione atletica della vocalità.

Un plauso al coro, bilanciatissimo e sempre presente, ulteriore protagonista della bellissima serata.

Che i teatri di tutto il mondo riprendano questa straordinaria Opera e lo scrivo con la consapevolezza che nulla deve essere perso dopo avere visto tanta Bellezza (musicale) nella Tragedia di Ecuba.

 

Pino De Stasio

 

 

 

 

 

 

 

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